IL VIAGGIO OSCURO NEGLI ABISSI DI NILAMPTIPTE

dalla penna magica di Marina Baldo Marinatto

Once upon a time … c’era una volta una donna di mezza età, in difficoltà assai. Una donna estremamente diffidente, molto schiva e, di natura solitaria. Non amava parlare con nessuno e, spesso, se ne stava in disparte. Come suole dire la cultura tedesca, alla sua nascita, Dio mise nella culla di Nilamptipta un sacco

pieno talenti e virtù. Ora, avvicinandosi alla soglia dei 60 anni, lei pensava “troppe, troppe facoltà, che me ne faccio? Se tanto il mondo fuori di certe cognizioni non ne vuole sapere. Ma veramente è meglio starsene buttati sul divano e guardare la televisione?”. Forse sì.

Fu così che Nilamptipte entrò in una gravissima crisi della sua esistenza sulla Terra. Sì, dico Terra. Lei era consapevole di provenire dalle stelle, da Mirach, per la precisione. La, nel suo luogo di origine, gli abitanti si aiutavano gli uno con gli altri per costruire una bella vita, leggera, spensierata, piena e, soprattutto, pacifica. A Mirach, regna la pace e l’unità.

Ma ora Nilamptipte si trovava qui, su questo pianeta, pieno di dualità, guerre ed individui che perseguono il proprio indiscutibile bene a discapito di tutti gli altri. Certo, pensava Nilamptipte, è pur vero che ognuno deve essere nella condizione di assumere le redini della propria vita. E anche vero che su questo pianeta ancora si muovevano molti, ma molti individui spregiudicati.

L’innata sensibilità e forse anche sensitività facevano sì che Nilamptipte soffrisse molto nel luogo dove si trovava, sulla Terra. Non riusciva proprio a capire e realizzare perché servisse tutta questa scienza per provare questo o quello quando, nella verità, l’essere umano è già equipaggiato di tutto ciò di cui abbisogna. <Basta ascoltarsi> pensava lei.

Cercava i migliori modi per nascondere la sua sofferenza – o meglio – non vedeva alcun senso nel riversare le sue difficoltà sugli altri. In questo pianeta, gli individui trascorrono gran parte del tempo a “reagire” agli stimoli esterni, <perché aggiungerne di altri>? Pensava.

E così, Nilamptipe inizio a portare il suo sguardo sempre più verso il dentro. Verso la sua cava magica e misteriosa alla quale solo lei aveva accesso. Da fuori appariva come l’entrata ad una grotta in montagna, abbastanza minacciosa da tenere lontano occhi indiscreti e curiosi fine a sé stessi. Una volta entrata, meticolosamente custodita nella pancia della “sua montagna”, Nilamptipte aveva di tutto! Oro e gemme preziose, cristalli che lei amava e con i quali parlava e si consultava sul suo vissuto, su ciò che gli individui su questo pianeta chiamavano “passato” e alcuni, addirittura, “vite passate”. Quei cristalli meravigliosi, con le loro raffinatissime frequenza, sfumature di colori, contenevano tutte le informazioni di Nilamptipte, passato, presente e futuro, cosiddetti. Quando aveva delle questioni in questo mondo, delle impasse, Nilamptipte consultava i suoi cristalli. Nella grotta c’erano, inoltre, dei droni con i quali si spostava velocemente da una parte all’altra, sempre sulla terra. E poi, due astronavi a sua misura per viaggiare nello spazio e trastullarsi con altri abitanti. C’erano schermi giganti, ma non al plasma, ai cristalli suoi che le facevano vedere quello che lei chiedeva. C’era una grotta riunioni, per quando le energie della trascendenza venivano a trovarla e chiacchieravano con lei.

Lì, Nilamptipte stava benissimo e voleva stare sempre lì.

Nilamptipte, tuttavia, sapeva bene che doveva imparare a stare bene, a sentirsi bene anche sulla Terra. Il suo entourage, formato da aiutatori spirituali, angeli ed arcangeli, guide e maestri, la seguiva attentamente e molte volte si era “sentita dire” che doveva stare di più sulla Terra. Lei amava questo incantevole pianeta blu e verde, così come il regno minerale, vegetale e animale. Ma, con gli esseri umani aveva qualche e qualche difficoltà. Nonostante ciò, Nilamptipte, ubbidiente degli insegnamenti ricevuti dal suo entourage, si adoperava per creare una vita agevole anche sulla Terra. Solo lei sapeva che in questa vita la sua vera missione era ancorare luce. Ma da fuori mica si vede! Da fuori pareva che lei non facesse alcunché. <Pazienza>, pensava Nilamptipte, “lascia che ti giudichino come vogliono”. Chi giudica gli altri, de sé non si occupa.

Ora, la crisi di Nilamptipte si era fatta quasi insormontabile, ma lei si rifiutava di entrare con la sua parte intellettiva, nei processi più reconditi del suo Essere. Una volta appassionata di analisi e super-analisi, questa passione aveva lasciato spazio al seguire perspicuamente la sua energia. Si accingeva e preparare a fare un viaggio “giù”, nel suo cuore. Via dalla mente!

Dalla sua grotta segreta, nella sua montagna, tra i sui amati cristalli, Nilamptipte meditava sul viaggio che voleva intraprendere e sugli esiti che desiderava raggiungere. Nella sua grotta, si guardava intorno ed ammirava la sua bellezza, lucentezza ed infinita magia. D’improvviso, scorse una creatura insolita nella sua grotta. Un gatto con gli stivali! Indecisa tra meraviglia, simpatia e collera, guardava la strana creatura che, a sua volta la guardava. Nilamptipte non sopportava che qualcuno entrasse nella sua grotta senza il permesse e andava su tutte le furie! Neanche il suo entourage aveva il permesso di materializzarsi lì senza il suo consenso! Aveva imparato, che in qualsivoglia mondo fosse, lei era la Regina del suo regno e la leadership è sua e di nessun’altro, fisico o etereo non faceva alcuna differenza!

Il gatto con gli stivali, che bene avvertiva il disappunto di Nilamptipte, si tolse il suo cappello verde, nel quale era infilata una soffice piuma di baby aquila e una spessa piuma di condor e lo appoggio sul cuore in cenno di benevolenza e con il capo fece un leggero inchino di rispetto. Notando che lei si tranquillizzava, con una zampa inimicava la direzione verso una delle pareti della grotta. Messa da parte la logica umana, alla quale necessariamente era sottoposta anche Nilamptipte, si alzò dal suo luogo di meditazione per seguire la direzione indicata dal gatto con gli stivali ed il cappellino verde. Ora si trovava davanti a quella parete, che gocciolava minuscole goccine, all’apparenza di acqua e che, tuttavia, prima di raggiungere terra si trasformavano in lacrime di energia dorata. Comprese, dunque, che si trattava di un portale energetico. Avvicinandosi sempre di più a questo mistico varco e spingendo un poco senti che stava trapassando quella che era apparsa come una parete di roccia solida. La sua curiosità era talmente grande che non rifletté su quello che stava accadendo.

Improvvisamente, Nilamptipte iniziò a percepire dolori diffusi, sordi, in tutto il suo corpo, in ogni singola cellula, fibra e molecola della sua forma densa, quello che gli esseri umani chiamano corpo fisico. E una stanchezza infinita la attraversava e buttava giù. La testa pesante e offuscata, Nilamptipte procedeva a passo lentissimo e ascoltava questo peso, ormai divenuto insostenibile per la sua forma esile. Mentre procedeva in avanti, o così pensava si ricordò del suo intento manifesto di andare a trovare il suo cuore. Ma dov’era il suo cuore e come diamine faceva a trovarlo in questa oscurità, con questi dolori, il peso che la schiacciava e la testa inutilizzabile? Così, decise che era arrivato il momento di “abbandonarsi” a tutto questo disagio e vedere dove l’avrebbe condotta. Non ebbe terminato di formulare, faticosamente, il pensiero, o forse, intenzione, o forse sensazione, non distingueva più – che si ritrovò all’interno di tutte le sue cellule. Nilamptipte era finita contemporaneamente all’interno di tutti i miliardi di cellule, di cui è composta la sua parte densa e dunque, anche nelle cellule del suo cuore fisico. Vedeva, con l’occhio della coscienza, come da tutte le cellule evaporava una sorta di fumino grigio, erano i suoi dolori che la lasciavano. Neanche il tempo di tirare un sospiro di sollievo che si sentì precipitare, senza appigli e halt verso il profondo oscuro. Negli abissi più profondi del suo essere. Non c’era modo di fermare questa caduta libera. E mentre precipitava nell’oscurità più assoluta, laddove neanche i suoi sviluppati sensi interiori potevano supportarla, senti librarsi nel volo, come un uccello di fuoco, un dolore immenso. Un dolore talmente forte da non poterlo descrivere. Oltre a non potere respirare, Nilamptipte era confusa, disorientata, non sapeva dove si trovava, da dove veniva tutta questa sofferenza e come poterne uscire. Ogni ispirazione si era spenta in lei. E i suoi talenti? Ma dov’erano finiti?

Nessuno rispondeva!

Decise di sdoppiarsi, lasciò “lì”, ovunque questo “lì” fosse una parte della sua consapevolezza. Mentre l’altra parte la diresse fuori dal buio, in cerca della luce, fuori dalla grotta, fuori dalla montagna fino nella sua casa terrena, dove abitava con suo marito. A rallentatore, con fatica, con la confusione e pesantezza nella testa, con il peso addosso, compiva i gesti quotidiani, così come poteva. Priva della sua solita pazienza, amorevolezza ed accuratezza, appariva tagliente come un laser, stordita e ammalata. La parte eterea permaneva nel buio, nella sofferenza che le procurava la sensazione di morire. “Forse sto morendo”, diceva Nilamptipte, “ma non me ne sto accorgendo”. Tutta la sua forza, tutto il suo impegno, tutta la lucidità che le rimanevano erano al servizio di una misera, apparente, insignificante sopravvivenza. Non voleva più niente. “Non voglio più” urlava, “non voglio più, non voglio più!!!” urlava a squarciagola e piangeva. Altre volte era stata male, ma mai così.

Come aveva imparato nel tempo Nilamptipte, la vita si esprime anche così e la vita va seguita, non va né combattuta, forzata, né resistita. E così, mentre la sua parte densa viveva a stento le “cose di tutti i giorni”, la parte etera attraversa gli abissi più oscuri e impenetrabili alla ricerca della luce. Ed ecco, ritrovarsi accanto a sé un minuscolo colibri dai colori scintillanti e sfavillanti. <Ma che bello> pensò o percepì Nilamptipte e il colibri volava verso i suoi fuori per bere il dolce nettare. Sospesa nel buio, nell’apparente nulla senza via d’uscita, decise di seguire questa piccola anima. Fiore dopo fiore, colorati, profumati, brillanti, Nilamptipte poteva sentire il loro amore puro rinfrancare il suo cuore dolente e affranto. Fiore dopo fiore, Nilamptipte seguiva l’esempio di colibri e beveva il dolce nettare, ristoratore ed energizzante. E ad un certo momento, iniziò a provare sollievo, prima un pochino, poi un poco di più e poi ancora di più fino a trovare una piattaforma di riposo.

Ora avvenne, che al terzo giorno, Nilamptipte si risveglio da un sonno profondo e rigenerante, piena di vigore, di tanta voglia di fare cose belle e nuove. Di divertirsi anche in questo mondo. Di parlare con tanta gente. Di sorridere e farsi una sana e grassa risata. Di iniziare progetti nuovi. Di stare bene e di condividere il suo stare bene con gli altri.

Nilamptipte era un passo più vicino alla sua rinascita.

contenuto coperto da copyright – ©Marina Baldo Marinatto – 2024

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