IN DIPENDENZA AFFETTIVA
Siamo pieni di potenzialità, genialità e virtù inespresse. Talmente tante e, forse, così diverse dal resto del mondo, che in qualche recondito angolino del nostro essere più profondo, riteniamo di doverci nascondere, di non potere fare vedere le nostre qualità, di non potere dire e fare fino in fondo quello che
ci passa per la testa o quello che prude nelle mani; ci vergogniamo, sentiamo di non “calzare” nei modelli predefiniti o di “essere inadatti, inadeguati”, di “non andare bene”, di “non essere sufficientemente bravi” con ciò che ci circonda, rifiutiamo delle parti di noi stessi e più le imbavagliamo, più esse si fanno sentire. Più grande è il lamento, più grande è il talento. Ci allontaniamo sempre e sempre di più dalla nostra vera e incontaminata natura, complice anche la paura di sbagliare e di assumerci in toto la responsabilità di noi stessi.
Più camminiamo via da noi stessi, più sentiamo quel vuoto, quella solitudine, quella “non appartenenza”, quella incomprensione, quella svalutazione, che ci spinge ad andare in cerca di “come da fuori nutrire il dentro”, di tutto quello che nel nostro immaginario diviene mancanza.
Tratteniamo la nostra attenzione al di fuori di noi, facendo costanti paragoni con le altre persone, con quello che esse dicono e fanno, anziché guardare alla nostra ricca, prospera, abbondante interiorità, piena di latente creativo. Alla innata pienezza.
La mancanza di noi, il vuoto di noi ci induce a trascurare il patrimonio che in noi è presente, a discapito di modelli che ci vengono propinati da fuori. Nessun giudizio o pregiudizio, a patto che ognuno di noi sappia scegliere per sé quello che sostiene il proprio supremo bene e sappia rimanere al proprio centro, nella propria vita. La mancanza di noi induce a “delegare” porzioni della nostra di vita, frammenti di noi stessi. Nella bramosia di fare fronte ad un accumulo di malessere, di emozioni e sentimenti, situazioni che ci fanno sentire male, taluni s’inclinano a cercare la persona perfetta, “quella giusta”. Quella miracolosa che ci deve togliere da tutti gli impicci. Nel nostro immaginario questa persona può tutto, e, a nostra insaputa, viene delegata ad essere come diciamo noi; dolce oppure ferma, delicata oppure forte, deve darci tutte le attenzioni di cui abbiamo bisogno e quando ne abbiamo bisogno; dev’essere presente e possibilmente pronta in ogni momento a leggerci nel pensiero per soddisfare tutte le nostre aspettative. Nell’illusione che la persona oggetto dei nostri desideri sia onnipresente, ci si ritrova frustrati ed arrabbiati quando questo non avviene e si alimenta l’accumulo di malessere che vive nel nostro mondo interiore. Si rischia di divenire ancora più pretenziosi, creando con la persona idealizzata una dipendenza di copioni a circuito chiuso. A nostra insaputa stiamo nel senso d’impotenza, investendo gli altri di responsabilità che non hanno, e nel delirio di onnipotenza, quando crediamo delegare gli altri la nostra felicità.
Brilliamo di nostro. Senza paura, senza aspettative. Brilliamo perché brilliamo.
In verità, ciò che colma il vuoto, la solitudine, la percepita mancanza di amore, la mancanza di appartenenza, il progredire, il raggiungere gli obietti desiderati e manifestare i propri sogni, il vivere con buonsenso ed equilibrio la propria indipendenza, è la connessione che abbiamo con noi stessi e, attraverso una postura centrata e bilanciata in noi, anche con gli altri.
L’accoglienza che diamo a noi stessi. Come noi parliamo con noi stessi, le cose che ci diciamo; quanto ci fidiamo e quanto crediamo in noi, nei nostri talenti, nel nostro essere. La cura che abbiamo di condividerci fino in fondo, a modo, con i nostri simili. Come brilliamo. La soddisfazione nasce dall’essere “soddisfatti” di noi stessi, anche quando non piacciamo alle persone alle quali tanto vorremmo piacere. Ci sentiamo soddisfatti quando sappiamo supportare una connessione umana anche con persone che ci sono ostili, donando a queste persone la libertà di esserlo, senza subirle, senza sentirci male, senza rinunciare al nostro valore, facendoci rispettare; rispettando e accogliendo anch’esse, così come si presentano in quello specifico momento e senza la pretesa di cambiarle. Il sapere esprimere i nostri pensieri, anche quando ci criticano e giudicano; rimanere nella comunicazione con garbo e fermezza allo stesso tempo. Senza fuggire, nasconderci, reprimerci. Rispondendo per le rime o con sarcasmo e ironia si rischia la difensiva; esprimendo fino in fondo con chiarezza e trasparenza i propri pensieri e opinione si rimane nell’offensiva.
Albert Einstein diceva: “Ci sono due modi di vivere la vita. Uno è pensare che niente è un miracolo. L’altro è pensare che ogni cosa è un miracolo.”
In modo più semplice e con il buonsenso, impariamo a pensare diversamente. Sì, è un impegno, è una allenamento. Dà fastidio, “sono gli altri che devono cambiare, non io”. “È la vita che deva cambiare e fare esattamente quello che voglio io”. L’introduzione di pensieri nuovi, estranei a noi, di modi di fare inconsueti e diversi, se coltivati con diligenza, nel corso degli eventi, modifica anche l’agire e i risultati che naturalmente otteniamo dai nostri pensieri ed azioni. Modifica il nostra stare, bene o male, meglio o alla grande. Abbondiamo e prosperiamo della nostra vera e intrinseca natura che, per ciascuno di noi è assolutamente unica e irripetibile.
contenuto coperto da copyright – ©Marina Baldo Marinatto – 2024
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